Colori invisibili

I colori non esistono; i colori sono percepiti come tali dal cervello umano, in grado di discernere le diverse lunghezze d'onda di una unica fonte luminosa, che nell'insieme appare come "bianca"; ovvero, incolore. Il colore percepito dall'occhio è dato dalle proprietà riflettenti degli oggetti osservati o, nel caso di luci colorate, dai componenti gassosi o solidi che generano la luce.

Se le cose non avessero colore, o se l'occhio non lo percepisse, la nostra vita non sarebbe quella che è; non per niente il grigio è sinonimo di mediocrità e noia, di una uniformità monotona insopportabile per l'animo umano. Per l'uomo nato e cresciuto con una vista normale, lo shock improvviso di un mondo in bianco e nero -ovvero, in una scala di grigio- sarebbe probabilmente fatale, o quantomeno debilitante a livello psichico.

Eppure, i colori "non esistono". E' il nostro cervello a "vederli".

Come per lo scandalo e la bellezza, ma anche per la bruttezza e la mediocrità, che sono tutte nell'occhio dell'osservatore, lo stesso si può dire dei colori, dove i coni dell'occhio compiono la magia bioLogica per cui la "luce" è percepita in alcune delle sue lunghezze d'onda; solo una minima percentuale dell'intero spettro della luce è visibile dall'occhio umano, che non vede nella gamma dell'ultravioletto e dell'infrarosso, e non di meno esso può distinguere circa dieci milioni di "toni" (cromaticità) differenti - più o meno dieci volte quelli delle palettes digitali. Ma tutti questi "toni" si possono ridurre ai tre colori primari, cioè quelli percepiti dai coni: rosso, verde e blu.

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Visione del colore

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La visione del colore è la capacità di un organismo o di una macchina di distinguere oggetti basandosi sulla lunghezza d'onda (o frequenza) della luce che questi riflettono, emettono, o trasmettono. I colori possono essere misurati e quantificati in vari modi; la percezione dei colori di una persona è però un processo soggettivo nel quale il cervello risponde alle stimolazioni prodotte quando la luce incidente reagisce con i diversi tipi di cono presenti nell'occhio. In breve, persone diverse vedono lo stesso oggetto illuminato o la stessa sorgente di luce in modi diversi.

Lunghezza d'onda e percezione della tonalità

Nella seconda metà del 1600 Isaac Newton scoprì che la luce bianca si scompone nelle sue componenti colorate quando passa attraverso un prisma a dispersione. Newton scoprì anche che poteva ricombinare questi colori facendoli passare attraverso un altro prisma ricostruendo così la luce bianca iniziale.

I colori tipici sono, partendo dalle lunghezze d'onda lunghe fino a quelle corte (e, corrispondentemente, dalla più bassa all'alta frequenza), rosso, arancione, giallo, verde, blu, e viola. Differenze di lunghezza d'onda sufficienti provocano una diversa percezione di tonalità; la differenza minima di lunghezza d'onda percepibile varia da circa 1 nm nelle lunghezze d'onda del blu-verde e giallo, fino a 10 nm e più nelle più lunghe lunghezze d'onda del rosso e in quelle più corte del blu. Malgrado l'occhio umano possa distinguere fino a poche centinaia di tonalità, quando questi colori spettrali puri vengono mescolati assieme o diluiti con la luce bianca, il numero di cromaticità distinguibili può essere molto elevato.

Nei livelli di luce molto bassa, la visione diventa scotopica: la luce viene rilevata dalle cellule bastoncello della retina. I bastoncelli sono sensibili maggiormente a lunghezze d'onda vicine ai 500 nm, e non hanno nessuna, o quasi, influenza sulla visione a colori. In condizioni di luce più elevata, come in luce diurna, la visione diventa fotopica: la luce viene rilevata dai coni che sono responsabili della visione a colori. I coni sono sensibili ad un insieme di lunghezze d'onda, ma sono più sensibili nelle lunghezze d'onda intorno ai 555 nm. Tra queste regioni, entra in gioco la visione mesopica e sia i bastoncelli che i coni forniscono segnali alle cellule retinali. Lo spostamento nella percezione del colore dalla luce crepuscolare alla luce diurna provoca differenze conosciute col nome di effetto Purkinje.

La percezione del "bianco" si forma dall'intero spettro di luce visibile, o mescolando i colori di poche lunghezza d'onda negli animali con pochi tipi di recettori di colore. Nell'uomo, la luce bianca può essere percepita combinando alcune lunghezze d'onda come il rosso, il verde e il blu, o con solo un paio di colori complementari come il blu e il giallo.[1]

Fisiologia della percezione del colore

La percezione del colore comincia dalle cellule specializzate presenti nella retina contenenti pigmenti con diverse sensibilità spettrali, conosciute come coni. Negli esseri umani, ci sono di tre tipi di coni sensibili rispettivamente a tre diversi spettri di onde elettromagnetiche, e ciò dà come risultato una visione del colore tricromatica.

Ogni singolo cono contiene pigmenti composti di opsina, una apoproteina che è covalentemente legata alla 11-cis-hydroretinal o più raramente, alla 11-cis-dehydroretinal[2].

I coni sono convenzionalmente etichettati secondo l'ordine dei picchi delle lunghezze d'onda delle loro sensibilità spettrali: cono tipo corto (S), medio (M), e lungo (L). Questi tre tipi non corrispondono bene a particolari colori come noi li conosciamo. Piuttosto, la percezione del colore viene ottenuta da un processo complesso che comincia con l'uscita differenziale di queste cellule nella retina e viene completato nella corteccia visiva e nelle aree associative del cervello.

Per esempio, mentre i coni L vengono riferiti semplicemente come ricettori del rosso, tecniche di microspettrofotometria hanno mostrato che la loro sensibilità di picco è nella regione giallo-verde dello spettro. Allo stesso modo, i coni S e M non corrispondono esattamente al blu e al verde, malgrado siano spesso descritti in questo modo. Il modello di colore RGB, perciò, è un modo conveniente per rappresentare i colori, ma non è direttamente basato sui tipi di coni presenti nell'occhio umano.

Il picco di risposta delle cellule cono umane varia, anche tra individuo e individuo, dalla cosiddetta visione a colori normale;[3] in alcune specie non umane questa variazione polimorfica è anche maggiore, e può essere anche adattiva.[4]

Teorie

Due teorie della visione a colori complementari sono la teoria tricromatica e la teoria del processo opponente. La teoria tricromatica, o teoria di Young-Helmholtz, proposta nel XIX secolo da Thomas Young e Hermann von Helmholtz, come menzionato sopra, dice che i tre tipi di coni che costituiscono la retina sono preferibilmente sensibili al blu, verde e rosso. Ewald Hering ha proposto la teoria del processo opponente nel 1872.[5] Essa dice che il sistema visivo interpreta il colore in maniera antagonistica: rosso contro verde, blu contro giallo, nero contro bianco. Entrambe le teorie sono ora accettate come valide, descrivendo stadi differenti nella fisiologia della visione, visualizzata nel diagramma sulla destra.[6] Verde ←→ Magenta e Blu ←→ Giallo sono bilance con bordi mutualmente esclusivi. In maniera analoga al fatto che non può esistere un numero positivo "leggermente negativo", un singolo occhio non può percepire un giallo-bluastro o un verde -rossastro (ma tali colori impossibili possono essere percepiti a causa della rivalità binoculare).

Una successiva teoria dei colori,a volte contrapposta alle precedenti, è stata formulata da Edwin Land basata su un sistema computazionale automatico[7].

Cellule cono nell'occhio umano

Tipo di conoNomeCampo
Picco della lunghezza d'onda[8][9]
Sβ400–500 nm420–440 nm
Mγ450–630 nm534–555 nm
Lρ500–700 nm564–580 nm

Un insieme di lunghezze d'onda di luce stimola ognuno di questi tipi di recettori a vari livelli. La luce giallo-verde, per esempio, stimola entrambi i coni L e M con la stessa intensità, mentre stimola debolmente i coni di tipo S. D'altronde, la luce rossa, stimola i coni L molto di più dei coni M, e quasi per niente quelli S; la luce blu-verde stimola i coni M più dei coni L, e i coni S un poco di più, ed è anche lo stimolo di picco per le cellule bastoncelli; e la luce blu stimola i coni S più fortemente della luce rossa o verde, ma i coni L e M più debolmente. La mente combina l'informazione da ogni tipo di ricettore dando origine a diverse percezioni di varie lunghezze d'onda di luce.

Le opsine (fotopigmenti) presenti nei coni L e M sono codificate sul cromosoma X; codifiche difettose di questo portano ai due forme più comuni di daltonismo. Il gene OPN1LW, che codifica l'opsina presente nei coni L, è altamente polimorfico (un recente studio di Verrelli e Tishkoff ha trovato 85 varianti in un campione di 236 uomini).[10] Una percentuale molto piccola di donne può avere un tipo di recettore di colore extra possedendo alleli diversi per il gene della opsina L su ogni cromosoma X. L'inattivazione del cromosoma X significa che solo una opsina viene espressa in ogni cono, ed alcune donne possono perciò mostrare un grado di visione a colori tetracromatica.[11] Le variazioni nel gene OPN1MW, che codifica l'opsina espressa nei coni M, sembrano essere rare, e le varianti osservate non hanno effetto sulla sensibilità spettrale.

Il colore nella mente umana


L'elaborazione dei colori inizia a un livello molto precoce nel sistema visivo (anche all'interno della retina) attraverso i primi meccanismi di colori avversari. Sia la teoria tricromatica di Helmholtz, che quella del processo opponente di Hering sono perciò corrette, ma la tricromatica ha luogo a livello dei recettori, mentre i processi opponenti al livello delle cellule ganglio retinali e oltre. Nella teoria di Hering il meccanismo degli avversari si riferisce all'effetto avverso del colore del rosso–verde, blu–giallo, e luce–buio. Comunque, nel sistema visivo, sono le attività dei diversi tipi di recettori che sono avversarie. Alcune minuscole cellule ganglio retinali sono antagoniste all'attività dei coni L e M, che corrispondono grossolanamente all'antagonismo al rosso-verde, ma in realtà corrono lungo un asse dal blu-verde al magenta. Piccole cellule ganglio bistrato fanno antagonismo rispetto all'ingresso dai coni S fino a quello dai coni L e M. Ciò è spesso ritenuto corrispondere all'antagonismo blu–giallo, ma in realtà corre lungo un asse di colore dal lime-verde al viola.

Adattamento cromatico

Nella scienza del colore, l'adattamento cromatico è la stima della rappresentazione di un oggetto sotto una diversa sorgente di luce da quella sotto la quale questo era stato registrato. Un'applicazione comune è trovare una trasformazione di adattamento cromatico (CAT) che farà in modo di rendere la registrazione di un oggetto neutro come neutra (bilanciamento del colore), mantenendo nel contempo gli altri colori di aspetto realistico.[13] Per esempio, le trasformazioni di adattamento cromatico vengono usate durante la conversione di immagini tra profili ICC con punti del bianco diversi. Adobe Photoshop, per esempio, usa la CAT Bradford.[14]

Nella visione a colori, l'adattamento cromatico si riferisce alla costanza del colore; cioè l'abilità del sistema visivo di conservare l'aspetto di un oggetto sottoposto ad una vasta varietà di sorgenti luce diverse.[15]

Note

  1. ^ "Eye, human."
  2. ^ (EN) J. Nathans, D. Thomas e D. S. Hogness, Molecular genetics of human color vision: the genes encoding blue, green, and red pigments, in Science, vol. 232, n. 4747, 11 aprile 1986, pp. 193–202, DOI:10.1126/science.2937147URL consultato il 31 luglio 2017.
  3. ^ vol. 323, DOI:10.1038/323623a0PMID 3773989https://www.nature.com/nature/journal/v323/n6089/abs/323623a0.html.
  4. ^ vol. 93, DOI:10.1073/pnas.93.2.577PMID 8570598https://oadoi.org/10.1073/pnas.93.2.577.
  5. ^ Ewald Hering, Zur Lehre vom Lichtsinne, in Sitzungsberichte der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, LXVI.
  6. ^ Ali, M.A. & Klyne, M.A. (1985), p.168
  7. ^ Edwin Land, The retinex teory of color vision, 1977. La traduzione in italiano è: Una nuova teoria della visione dei colori, in Le Scienze, n. 115, 1978.
  8. ^ Günther Wyszecki e W.S. Stiles, Color Science: Concepts and Methods, Quantitative Data and Formulae, 2ª ed., New York, Wiley Series in Pure and Applied Optics, 1982, ISBN 0-471-02106-7.
  9. ^ R. W. G. Hunt, The Reproduction of Colour, 6ª ed., Chichester UK, Wiley–IS&T Series in Imaging Science and Technology, 2004, pp. 11–2, ISBN 0-470-02425-9.
  10. ^ Verrelli BC, Tishkoff SA, Signatures of Selection and Gene Conversion Associated with Human Color Vision Variation, in Am. J. Hum. Genet., vol. 75, n. 3, September 2004, pp. 363–75, DOI:10.1086/423287PMC 1182016PMID 15252758.
  11. ^ Roth, Mark (2006).
  12. ^ Deane B. Judd e Günter Wyszecki, Color in Business, Science and Industry, Wiley Series in Pure and Applied Optics, third, New York, Wiley-Interscience, 1975, p. 388ISBN 0-471-45212-2.
  13. ^ Süsstrunk, Sabine.
  14. ^ Lindbloom, Bruce.
  15. ^ (EN) Mark D. Fairchild, Color Appearance Models, John Wiley & Sons, 8 luglio 2005, ISBN 978-0-470-01269-7URL consultato il 16 marzo 2022.

Voci correlate

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(https://it.wikipedia.org/wiki/Visione_del_colore)


Quella che segue è la (mia) traduzione del video del canale The Why Files su YouTube a titolo 
"Perchè Gli Antichi Non Vedevano Il Colore Blu?":
"Ecco una domanda filosofica per voi: se un colore non ha nome, possiamo ancora vederlo?
Bene, molti anni fa l'occhio umano è evoluto per darci l'abilità di vedere circa un milione di colori. Sono un sacco. Allora, com'è che fino a tempi molto recenti nessuno aveva mai visto o nemmeno sentito parlare del colore blu? Beh, è perchè il blu non esisteva ancora.
Scopriamo il perchè.
[...]
Il blu è un colore misterioso. Per la gente dell'antichità il blu greco non era affatto un colore. Questa strana storia inizia con William Gladstone, quattro volte primo ministro della Gran Bretagna, e grande ammiratore di Omero.
[...]
Omero scrisse l'Iliade e l'Odissea; questi due poemi epici sono considerati i fondamenti della letteratura Greca antica, e gran parte di quella moderna è in qualche misura derivata da Omero. Dunque Gladstone stava leggendo l'Odissea e notò che Omero descriveva il mare scuro come il vino; non blu, non verde, ma vino scuro, e la descrizione attirò l'interesse di Gladstone verso altri modi in cui Omero utilizzò il colore per descrivere le cose. Omero descrive il miele come verde e le pecore come viola. Gladstone si chiedeva se Omero fosse daltonico e vedesse il blu come, forse, qualcos'altro; quindi lesse migliaia di pagine degli scritti di Omero e contò i riferimenti ai colori: il nero è citato quasi 200 volte, il bianco un centinaio di volte, il rosso è menzionato 13 volte, giallo e verde meno di 10 volte, ma il blu: zero.
Allora Gladstone cercò in altri testi in Greco antico; niente era mai stato descritto come blu. Il pensiero iniziale di Gladstone era che forse i Greci vedevano i colori diversamente dagli altri, quindi i ricercatori analizzarono i testi antichi di tutto il mondo: il Corano, la Bibbia ebraica, il Cinese antico, Hindu, Islandese... Niente blu, nemmeno una volta. 
Questi testi antichi si riferivano ai colori nelle stesse proporzioni dell'epica omerica: bianco e nero comparivano spesso, il rosso qualche volta, giallo e verde molto poco, ma il blu non compariva affatto, e gli occhi umani sono gli stessi oggi come allora, quindi perché non potevano vedere il blu?  
[...]
Tutti i linguaggi evolvono a modo loro, ma quasi universalmente i nomi dei colori emergono nello stesso ordine: prima nella lingua si creano le parole per bianco e nero; il colore seguente è sempre il rosso, e dopo il rosso viene il giallo o il verde. L'ultimo ad apparire in ogni lingua principale è il blu. 
[...]
Molte culture antiche non vedevano il blu come un colore separato ma come una tonalità di verde. Le lingue sono efficaci, perchè prendersi il disturbo di inventare una parola di cui non hai quasi mai bisogno? L'oceano non era blu ma era una tonalità di verde; il cielo non era blu ma nero chiaro. Il blu emerse infine come colore quando gli egizi inventarono un modo per produrre una tinta blu; improvvisamente il cielo nero chiaro fu blu, il fiume Nilo, verde per migliaia di anni, divenne finalmente blu, quando la tinta blu Egizia iniziò a circolare. I linguaggi del mondo antico iniziarono ad evolvere per ospitare questo nuovo colore, ma prima di allora, niente. 
Quindi, a meno che non abbiate una parola per descrivere un colore è assai difficile per gli umani percepirlo, e abbiamo prova di questo anche oggi.
[...]
Il ricercatore Jules Davidoff ha condotto un esperimento con la tribù degli Himba in Africa e come nelle culture antiche gli Himba non hanno una parola per "blu". Il blu degli Himba è solo una tonalità di verde, quindi ai partecipanti Himba venivano mostrati 12 quadrati su uno schermo; 11 dei quadrati erano verdi, uno era blu. Potete dire qual'è il quadrato blu?



Certo che sì, lo potete vedere immediatamente; ma gli Himba avevano problemi con questo colore; avevano un tempo di reazione più lento rispetto a quello che avremmo noi
[...] molti rapporti su questo studio dicono che gli Himba non potevano affatto vedere il quadrato blu. Non è vero. La BBC e Business Insider si sono inventati questa parte. Aspetta un minuto, pensavo che i media seguissero la scienza; beh, i media seguono la scienza solo se fa comodo alla loro storia. [...] 
Cosa ne dite di questo diagramma? 


Tutti e 12 questi quadrati sono verdi ma uno di loro è di una tonalità leggermente diversa. Potete dire quale? 

 

[...]

 

L'avete trovato?

Questo quadrato è leggermente più chiaro degli altri, e molti di noi non possono vedere alcuna differenza. Se studiamo i colori e proviamo a concentrarci veramente possiamo vederlo, anche se non è facile. Ma gli Himba? Essi potevano vedere questo verde diverso tanto facilmente quanto noi possiamo distinguere il quadrato blu. Gli Himba non hanno soltanto una parola per verde, hanno parole uniche e intere categorie di parole per per molte tonalità di verde. Per questo motivo gli Himba sono subito pronti a riconoscerli. 
Ora, dal momento che essi non hanno una parola per blu, sanno che è diverso ma non sanno veramente spiegare perchè. Ecco un altro test: che colore è questo?


Rosa! Certo, è facile perché abbiamo un nome per questo colore; ma la parola rosa ("pink ") non appare nella lingua Inglese fino al 13mo secolo circa. Prima di allora il rosa era un tono di rosso chiaro, certo, ma sempre rosso, e se dite a qualcuno che un oggetto è rosso chiaro senza essere più specifici qual colore sarà diverso per ognuno, e gli scienziati hanno capito che finchè una parola non viene creata per descrivere un colore la gente ha difficoltà a definirlo. Ora abbiamo verde menta, verde foresta, verde bandiera e sono sicuro che gli studenti d'arte e i patiti dei pastelli ne conoscono molti altri, ma prima che esistessero queste parole questi colori erano difficili da descrivere. 
E' noto che Isaac Newton scoprì i colori dello spettro, che sono quali colori?
[Risposta: ROYGBIV - iniziali di red, orange, yellow, green, blue, indigo, e violet, ndt]
Giusto, ma dove finisce il rosso e inizia l'arancione? Che colore è l'indaco, è blu scuro o è più simile al violetto?
Lo stesso Isaac Newton ebbe dei problemi a separare le bande; inizialmente pensava che ci fossero 11 colori unici ma poi pensò che forse erano solo cinque, ma una settimana ha sette giorni e ci sono sette note in un'ottava musicale e Pitagora pensava che il sette fosse un numero magico, così Newton pensò di farne sette.
Nella scienza moderna si misurano i colori in nanometri; così possiamo dire con precisione che il giallo puro è 580 nanometri. Ma Newton non usava le lunghezze d'onda, li misurava a occhio. [...]
Quindi se la gente ha bisogno di avere un nome per poter "vedere" un colore, esistono colori innominati visibili all'occhio umano che non sono ancora stati scoperti? 
Sembra pazzesco ma sì, esistono. La visione umana è tricromatica, questo significa che abbiamo tre differenti fotorecettori nei nostri occhi che percepiscono i colori, chiamati coni; abbiamo coni per il rosso, il verde e il blu e ogni colore che vediamo è una combinazione di questi; ciò ci permette di vedere crica un milione di colori diversi, mentre chi è discromatopsico
ha soltanto due coni funzionanti che gli permettono di vedere soltanto 10.000 tonalità circa. Questa è la visione diacromatica e la maggioranza dei mammiferi sono dicromatici, ma qualche anno fa si scoprì che una dottoressa nel Nord dell'Inghilterra aveva quattro tipi di coni, quindi la sua visione non è tricromatica, è tetracromatica. Questo significa che essa non vede soltanto un milione di colori, ma può distinguere fino a cento milioni di colori differenti. [...]
All'inizio gli scienziati pensavano che questo fosse molto raro, ma iniziarono a investigare il fenomeno e scoprirono qualcosa di interessante sulla genetica degli uomini discromatopsici; essi hanno due cellule-cono normali e un cono mutante che è meno sensibile sia alla luce rossa che alla luce verde, ma le madri e le figlie dei discromatopsici hanno un cono mutante oltre ai normali tre coni. Circa uno su dodici uomini sono discromatopsici, quindi circa un otto percento di essi. Basandosi sulle statistiche, circa il 12 percento della popolazione femminile dovrebbe essere tetracromatica, con la capacità di vedere centro milioni di colori; centro volte superiore al resto. Allora, dove sono tutte queste donne e quali 99 milioni di colori extra vedono? Beh, esse non sanno nemmeno di avere accesso a questi colori, proprio come gli antichi non erano pronti a vedere il blu tra i loro colori, le donne con una visione tetracromatica non sono in grado di vedere tutti questi nuovi colori. 
Ad una donna tetracromatica fu fatto un test visivo e gli fu mostrata una sequenza di colori in rapida successione. La gente con una visione normale vede questi colori come identici, ma questa donna era in grado di vedere le più minime differenze; il suo cervello la rendeva cosciente del fatto che  alcuni dei colori che stava per vedere potevano essere diversi ed essa fu in grado di afferrare queste piccole differenze all'istante, e accuratamente. Allora, come appaiono questi colori per il resto della gente?
Ebbene, non c'è modo di descriverlo. [...] Come descrivereste un colore a qualcuno che è nato cieco?
[...]
I colori sono difficili da descrivere, quindi i nostri antenati vedevano i colori esattamente come noi, ma non notarono mai le differenze finchè non furono create delle parole per descriverli.
Isaac Newton aveva scoperto che i colori non sono parte degli oggetti materiali, il colore è soltanto il modo in cui la luce è assorbita, riflessa o diffusa da una superficie, e se lo vediamo in questi termini i colori non esistono veramente, è solo una interpretazione delle lunghezze d'onda. [Gonzalo Alvarez-, NdT] Bolado, un neuroscienziato alla University College di Londra, ha detto che esiste qualcosa come la luce, esiste qualcosa come l'energia, ma non esiste nulla come il colore. Il colore non è altro che il prodotto della luce, della nostra cultura, del nostro linguaggio e della nostra immaginazione."
(https://www.youtube.com/watch?v=totDkXxKOXg&t=387s) 

Articolo su questo tema da ScienceAlert:
https://www.sciencealert.com/humans-didn-t-see-the-colour-blue-until-modern-times-evidence-science

Articoli sulle persone tetracromatiche:
http://thescienceexplorer.com/brain-and-body/people-who-can-see-invisible-colors
https://www.optimax.co.uk/blog/tetrachromacy-superhuman-vision/
https://www.thecut.com/2015/02/what-like-see-a-hundred-million-colors.html




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